CAGE STORIES ti prende allo stomaco. Non è un gioco sulle MMA - è una storia di demoni personali, di cicatrici che fanno più male dei colpi in gabbia.
Mentre giocavo Marco, ogni scelta pesava come piombo. La scena in cucina con Sara non era un tiro di dadi, era il dramma di un uomo diviso tra violenza e redenzione che mi ha stretto all'angolo. E nell'ottagono? Ogni fase era vita vera. Non si trattava di vincere, ma di dimostrare che le mani che una volta ferivano potevano imparare l'arte.
Non è un gioco che giochi - è un gioco che vivi. Ti prende le budella, ti fa sudare, ti fa sentire il sangue in bocca. È poesia scritta con i pugni, sa di sangue e speranza. CAGE STORIES ti ricorda perché amiamo questo hobby - perché attraverso i dadi possiamo toccare qualcosa di profondamente umano.