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Ciao Alessia,

grazie infinite dei tuoi commenti. Mi scuso sin da subito se ti rispondo con giorni di ritardo, ma il mio lavoro mi tiene spesso in scacco su tutto ciò che è il resto della mia vita. Ho preferito quindi aspettare di avere un minimo di tempo in più per risponderti il più dettagliatamente possibile, perché è assolutamente importante per me.

Prima di entrare nel vivo della risposta faccio un passo indietro che potrà contestualizzare meglio quello che scriverò e ti permetterà di capire alcuni miei percorsi mentali, scelte fatte e quello che voglio che esca dai giochi che provo a scrivere. Sulla mia pagina trovi anche "Little Lives" che è stato invece playtestato (a differenza di Qui e poi), e che ti darà altri elementi per comprendere meglio ciò che mi interessa portare a galla da un gioco (nel caso tu lo scaricassi, scarica la versione più recente che è quella posteriore ai playtest).

Partiamo dal fatto che non sono per niente un game designer e questa affermazione la faccio non per mettere le mani avanti su cose che potrebbero non funzionare in ciò che scrivo, ma per contestualizzarti i punti da cui parto quando creo un gioco.
Ho iniziato da circa un annetto a provare a scrivere giochi, perché il gdr mi affascina da una vita e perché trovo che sia un media che possa far vivere a chi lo gioca delle esperienze profonde. Sono molto interessato all'esperienza, quindi mi focalizzo tantissimo su quella ma in un modo leggermente diverso da ciò che vedo intendere come esperienza di gioco (a volte troppo legata all'esperienza coerente di un canone narrativo), per questo sottolineo che non sono un game designer, perché per scrivere i miei giochi e per scatenare determinate esperienze, mi baso su altri miei campi di interesse.

"Qui e poi" è un finto gioco travestito da gioco, a partire dal titolo stesso: Qui e poi, ovvero il luogo e il momento in cui gioco e quello che succederà dopo che ho giocato. Tutto il gioco penso (se l'ho architettato correttamente) porterà quando lo si gioca, a vivere determinate sensazioni. Ovviamente potrei sbagliarmi clamorosamente. Ma proprio tanto. Ma proprio tanto tantissimo eh 😂.

Io stesso non ho avuto modo di playtestarlo per il poco tempo che ho avuto per scriverlo, considera che è nato praticamente nell'arco di un solo weekend a livello di idea, meccaniche e intenti, poi nelle sere successive ho scritto il regolamento con una fretta disumana e buttato in Indesign alla fine (si lo so, non si doveva fare la grafica, ma per me quell'aspetto è molto legato al focalizzarmi sulla sua forma e mi serve per far percepire determinate sensazioni a chi ne sfoglia le pagine), tra l'altro non ci è voluto molto a fare la grafica, avendolo davvero buttato in un progetto di Indesign che avevo usato per un precedente gioco che avevo scritto (Little Lives che citavo all'inizio), ho dovuto cambiare solo il font, scegliere una foto per copertina e inserti ed era fatta, tutto davvero in una manciata di ore.

Fatta questa premessa, scorro il tuo commento e provo a rispondere alle varie curiosità.

Parto subito con il confermarti che il gioco è un gioco estremamente complesso, anche se le sue meccaniche sono davvero scarne. Sono convinto che leggere il manuale non restituisca l'esperienza che volevo scatenare nei giocatori, proprio perché è il giocare che teoricamente la porterà a galla. Forse 😂

Le mani in gioco sono una caratteristica molto importante a livello di design e mi fa piacere tu lo abbia notato, non volevo mettere in gioco solo un'idea che potesse essere originale ed elegante per la jam, ma volevo anche qui creare delle sensazioni specifiche, volevo attivare ad esempio il tatto e la riflessione su se stessi (quante volte nella tua vita ti sei persa ad osservare i palmi delle tue mani? Credo non molto spesso, ma il gioco ti obbliga a farlo, ti obbliga a percepire la matita da trucco che segna le croci, ti obbliga a scegliere su ciò che hai a disposizione, che è tuo da quando sei nata: tu sei il tuo stesso tesoro, sei la tua mappa, sei il tuo stesso destino). Questo in parte credo possa rispondere anche alla tua curiosità sul perché ognuno ha la propria mappa, nonostante i luoghi esplorati possono essere gli stessi. A volte le nostre storie di vita che possono sembrare così differenti, sono in realtà molto più simili di quanto non si riesca a comprendere.

I giocatori faranno un viaggio in solitudine, sapendo che l'altro c'è anche se non lo vedono, anche se a volte credi di essere solo, forse non lo sei. L'esperienza di entrambi i giocatori deve essere nelle loro mani, in senso reale e metaforico. La stessa meccanica di sicurezza è volutamente integrata nel gioco, sia per favorirne l'utilizzo, ma per permettere ai giocatori di creare fiction anche in quel caso, non facendola diventare solo una mera questione burocratica perché ci deve essere nei giochi moderni, ma spingendo affinché potrebbero anche volerla attivare di proposito come strategia di gioco: è un momento in cui i due giocatori possono incontrasi, possono lenire le loro solitudini confidandosi le proprie fragilità.

Gli eventi di linea sono volutamente differenti e disomogenei, perché anche essi sono in mano dei giocatori, saranno loro a scegliere quali affrontare, cucendosi così il gioco addosso. Qui dovrò apportare una modifica al regolamento, lasciando ancora più libertà di posizionare anche tutte le  X su una sola linea, così da spingere ancora di più il concetto che sono loro a crearsi la loro specifica esperienza di gioco. Del resto gli eventi di linea li decidi all'inizio del gioco e non è detto che le scelte fatte ti restituiranno ciò che ti aspettavi.

Ad esempio le domande a cui risponde un giocatore sono a sua scelta, tutto nel gioco spinge verso quello che il giocatore vuole ottenere, compresa la possibilità di barare (in casi più estremi) sui bivi che hai percorso e quindi su quanto puoi aggiungere al destino (volutamente nel regolamento non c'è alcuna regola che ti obbliga in qualche modo a provare all'altro giocatore che hai passato 3 o 7 bivi, perché la mappa e tua, è la tua mano, l'altro giocatore non la vede, sei tu a dichiarare quanti bivi ai percorso). Destino o libero arbitrio? Sceglierai di giocare seguendo le linee che il destino ti ha impresso sulla mano o forzerai il gioco, forse rompendolo, per narrare un finale che hai già deciso?

Quali sensazioni proverai mentre giochi, mentre sarai forzato a descrivere luoghi in cui nulla succede, se non soltanto trovare oggetti che non comprendi e a cui tu da sola non puoi dare un senso? Quale sarà il significato che darai a quegli oggetti? Quali saranno le ipotesi che farai con l'altro giocatore quando la frustrazione di non potersi incontrare quando vuoi, ti darà in mano la possibilità di creare un artefatto perfetto, che potrà forse completamente cambiare la storia del mondo in cui stai giocando?

Cosa vuol dire essere isolati, in mondo in cui una reale pandemia ci tiene distanti?

Qui passo agli artefatti e al perché sono la causa della distruzione. In Qui e poi, tempo e spazio non sono lineari, del resto siamo su due mani diverse, dove a volte i luoghi coincidono anche se sono dislocati in uno spazio differente. Il prima e dopo non sono quindi così lineari. Volevo portare il giocatore a vivere il concetto di perdita e di esserne esso stesso la causa, utilizzando la prospettiva della narrazione (il giocatore è in alto che fluttua ed è quindi metaforicamente distaccato da ciò che accade, mentre l'altro è in basso dentro alla distruzione che descriverà. Dall'alto la morte può sembrare così piccola e il distacco emotivo può permettere di soffrire meno come abbiamo fatto per tutta la pandemia, ma all'interno di essa la vita si spegne e gli artefatti creati dall'uomo e dalle sue idee ne sono la causa) e la concatenazione di eventi, ciò che hai creato o che potenzialmente avresti potuto creare è a sua volta la causa della distruzione.
Il bene e il male di un oggetto (che di per sé è neutro per sua natura) doveva esprimersi narrativamente e a livello sensoriale per il giocatore, come qualcosa che avesse grandi potenzialità sia di guarigione che di distruzione. Guarderai allo steso modo gli artefatti dopo essere stata nel vuoto? Quando esplorerai nuovi luoghi e troverai altri artefatti, saprai che quella solitudine ha avuto un origine, un altro personaggio che non è necessariamente l'altro giocatore, ma un NPC di cui nessuno ha mai parlato, prima di te è stato nel vuoto e ciò che tu adesso vedi come un luogo in cui la natura è esplosa nella sua totale e infinita bellezza, prima è stata l'epicentro di un'apocalisse.

Grazie per tutti i tuoi commenti che ho trovato preziosissimi.
Anche io amo che ci sia una parte di "gamismo" e in questo caso mi era funzionale al fatto di farlo percepire come un vero e proprio gioco, lasciando nascosta tra le pieghe dell'esperienza, tutta una serie di scelte morali. Concludendo, non voglio dire che per giocare tu puoi e devi barare, perché il gioco ti da tutti gli strumenti per riuscire a narrare il finale che vuoi anche solo grazie alle meccaniche, alla gestione degli artefatti, al lasciarli in luoghi sicuri per permettere all'altro giocatore di salvarli all'ultimo salto, se l'idea del loro utilizzo che avete avuto è per voi così importante da portarla fino alla fine del gioco. A livello di meccaniche dovrò fare dei playtest per fare in modo che tutto funzioni per bene, ma l'intento di Qui e Poi è di parlare di quello che abbiamo vissuto da ormai quasi due a questa parte.

Ora siamo qui nelle nostre solitudini, ma poi ci sarà un poi.

L'ultimo tocco alla fine del gioco vuole sottolineare ancora di più il concetto, con la promessa di incontrarsi quando sarà possibile (se si gioca online) e finalmente potersi stringere la mano.

Per qualsiasi dubbio sono qui. Grazie infinite per la tua recensione.