Accorpo due sessioni in questo riassuntone, dato che la seconda sessione è stata un po’ travagliata e siamo riusciti a giocare solo un paio di scene. La settimana scorsa, invece, abbiamo galoppato verso la fine di uno dei due scenari che avevo scritto (quello riguardante Alagos e Beorthmund) e siamo giunti al culmine dello scenario nella Vecchia Foresta.
Sessione 2
Nella seconda sessione, mentre Angion ed Erthadis riuscivano a parlare con Gerontius Serracinta (l’hobbit che aveva visto alcuni alberi invadere il territorio della Contea) e raggiungevano l’ingresso della Vecchia Foresta per indagare, Alagos e Beorthmund affrontavano il viaggio verso Imladris.
Abbiamo deciso di impostare una sfida per raggiungere il rifugio elfico senza destare troppe attenzioni. Tutto sommato è andata bene, se non fosse che lo studioso si è beccato una conseguenza lieve (frutto di un successo con un costo), declinata in Paranoico.
I due riescono a raggiungere Imladris e vengono accolti da Telumissë in persona proprio mentre Angion ed Erthadis vengono salutati da Gerontius con un avvertimento sulla figura vestita di bianco che è stata avvistata nella Vecchia Foresta.
Sessione 3
Angion ed Erthadis sono penetrati nella Vecchia Foresta da poco e sentono già un senso di oppressione, come se qualcuno li stesse osservando e controllando. Mentre Erthadis procede spedita affidandosi al sentiero, Angion si guarda attorno con fare circospetto e tiene pronta l’arma. La creazione di un vantaggio da parte di Marco (Angion) fallisce miseramente e i due si trovano in balia del sentiero che, anziché procedere in linea retta (come indicato da Gerontius), inizia a zigzagare. Della radura indicata dall’hobbit non vi è alcuna traccia.
Il tempo sembra scorrere in maniera piuttosto strana e il crepuscolo sorprende i due viandanti che decidono quindi di fermarsi a riposare. Un riparo sotto una roccia a ridosso di un torrente sembra fare al caso loro. Nell’avvicinarsi Angion si accorge che il luogo è stato utilizzato come bivacco da gente alta; le braci sono fredde, ormai, ma è innegabile la presenza di altri viandanti. Il guardiano si propone per il primo turno di guardia ed Erthadis ne approfitta per riposare.
A un tratto, durante il turno di guardia, Angion intravede qualcosa tra gli alberi, sulla riva opposta del torrente. Una macchia più chiara, distinguibile a stento nell’oscurità, sembra muoversi tra i rami degli alberi. Il guardiano preferisce non agire e rimane all’erta, sebbene la figura non sembri minacciosa. Dopo un po’, infatti, essa sparisce. Il resto della notte passa quindi nel silenzio e nella tranquillità.
Erthadis si sveglia di soprassalto, dopo aver sentito la voce del marito che la chiama. Dev’essere sicuramente un sogno. È mattino e la guardiana si rende conto che Angion non ha fatto solo il primo turno di guardia ma ha sorvegliato il rifugio per tutta la notte. Gli è riconoscente. Angion decide di non dirle nulla sulla figura vestita di bianco ed entrambi riprendono il cammino, con l’intenzione di oltrepassare il torrente e tentare di intercettare la radura indicata da Gerontius.
Angion decide di sfruttare il suo talento da artigiano (Esperto di tutto, maestro in niente) per improvvisare una sorta di guida per l’attraversamento del torrente, dato che l’acqua sembra essere profonda e piuttosto veloce. Erthadis lo aiuta, fornendogli un +1 al tiro. Purtroppo Marco non riesce a ottenere più di un successo con un costo e, dato che si è trattato di un’azione a cui hanno partecipato entrambi i personaggi, su proposta di Donato (il giocatore di Erthadis) decido quindi che il costo è una conseguenza per Erthadis, la quale mette un piede in fallo e si provoca una slogatura. La guardiana riesce a raggiungere la riva opposta del torrente, carponi. Ha lo sguardo basso, sui cespugli della riva; qualcuno le porge una mano per farla rialzare, ma nell’afferrarla la mano si rivela impalpabile. Erthadis solleva lo sguardo e incrocia gli occhi del marito morto, vestito di bianco, evanescente, invecchiato. Avaldir è lì davanti a lei, in un modo o nell’altro.
Dopo qualche attimo di smarrimento, i due guardiani prendono coscienza che non si tratta di una minaccia e che, per quanto assurdo possa essere, quello davanti a loro è davvero il “fantasma” di Avaldir, il quale con voce atona lievemente screziata da un tono di supplica le rivela che il suo corpo, ben lungi dall’essere stato seppellito, è stato trascinato nella zona dei tumuli. Angion sgrana gli occhi e intuisce già dove si andrà a parare. «Mia adorata Erthadis», dice Avaldir «ti supplico, donami la pace che cerco, sottrai le mie spoglie mortali alle fredde mani degli abitanti dei tumuli». Erthadis sente il peso della responsabilità nei confronti del marito e si volta verso Angion per capire se lui la seguirà nel luogo della Terra di Mezzo che teme di più. Angion sarà accanto alla sua capitana, come sempre e nonostante tutto. Improvvisamente Erthadis si preoccupa della missione e comunica ad Angion che sarebbe il caso di raggiungere Gerontius e inviare così un dispaccio a Therion per informarlo dell’accaduto. Avaldir però la ammonisce: «Non c’è molto tempo, moglie adorata. Valuta tu se seguire la via dei Guardiani o quella del cuore.» E così dicendo svanisce.
Intanto, Telumissë incontra Alagos (il quale, per non essere riconosciuto, utilizza il talento Maestro del travestimento e, anche grazie ai suoi tratti androgini, si fa passare per una consigliera di Re Araval) e Beorthmund presso uno degli accessi a Gran Burrone. L’elfa intuisce che il motivo che li ha spinti fin lì, in un periodo così gravido di minacce, dev’essere serio e li conduce in un luogo sicuro in cui potersi riprendere dalla fatica del viaggio prima di essere ricevuti da Re Elrond. Imladris non è cambiata affatto e Alagos ricorda con un misto di piacere e apprensione gli anni trascorsi tra gli Elfi, mentre Beorthmund è un po’ inquieto per via del fatto che la sua preveggenza lo ha messo in guardia dalla sapienza elfica.
Greta, la giocatrice di Alagos, chiede un flashback per recuperare i punti fato. Scopriamo quindi il motivo per cui Alagos è stato bandito da Gran Burrone: cresciuto dagli elfi, il giovane guardiano strinse amicizia con Telumissë, la quale lo condusse al luogo in cui era custodita una delle pietre veggenti. Ossessionato dall’oggetto, Alagos torna più volte nella cripta e infine si decide a guardare nella pietra. Non sappiamo cosa abbia visto, ma sappiamo che è stato visto a sua volta, mettendo in serio pericolo Gran Burrone e i suoi abitanti. Re Elrond, infuriato per l’accaduto e deluso dalla fiducia tradita, lo ha bandito per sempre dalla valle.
Telumissë, accompagnata da due dignitari di corte, giunge presso l’alloggio di Alagos e Beorthmund per parlare con loro e prepararli all’incontro con Re Elrond. Dopo un fugace scambio di sguardi, i due guardiani si decidono ad anticipare all’elfa il motivo che li ha spinti fino al rifugio elfico: la spada di Beorthmund. Telumissë congeda i dignitari e chiede allo studioso di poter osservare la spada (che, a dire il vero, non ha mai smesso di adocchiare da quando i due sono giunti nella valle). Beorthmund è un po’ restìo, ma infine accetta, sfodera l’arma e la posa sul tavolo di legno bianco. Telumissë, con lo sguardo concentrato e severo, analizza l’oggetto, ne afferra l’elsa per osservare meglio l’iscrizione, poi alza gli occhi su Beorthmund: «Come siete entrato in possesso di questo oggetto?» Il guardiano risponde che si tratta dell’arma di famiglia, tramandata nel corso degli anni da padre in figlio.
Avendo studiato per anni nelle biblioteche di Imladris prima di dedicarsi all’arte del combattimento, Telumissë conosce molto bene la spada di Beorthmund. Un’ombra le offusca il volto mentre rivela ai due guardiani che quell’arma apparteneva all’ultimo re di Númenor, Ar-Pharazôn, così come riportato dall’iscrizione in lingua taliska (antenata dell’adûnaico). «Questa spada porta con sé la malvagità di quei tempi», dice a Beorthmund, «chiunque la tocca si macchia in qualche modo delle vite sottratte grazie a questa lama». Così dicendo, solleva la mano che poco prima stringeva l’elsa della spada e i due guardiani la vedono screziata di nero, come se il sangue dell’elfa fosse improvvisamente diventato molto più scuro.
Beorthmund rimane fermo accanto alla spada, sconcertato dalle sue origini e indeciso sul da farsi, mentre Alagos chiede a Telumissë di poterle parlare in privato. L’elfa acconsente ed entrambi si allontanano, seguiti silenziosamente da Beorthmund preoccupato che il suo compagno possa fare qualche mossa avventata. L’occasione è troppo ghiotta e decido di complicare la vita ad Alagos proponendo a Greta una tentazione basata su una decisione: svelare la sua identità in questo momento farà indurire il cuore dell’elfa e lo costringerà a lasciare Gran Burrone senza poter chiedere il perdono che tanto desidera. Greta, ovviamente, accetta. Telumissë quindi non mostra alcuna gioia nell’apprendere che la consigliera di Re Araval in realtà è il guardiano Alagos; anzi, lo accusa di aver portato la sventura a Gran Burrone per la seconda volta e lo caccia malamente.
Beorthmund emerge dalle ombre e si avvicina a Telumissë. Ha sentito tutto e non può fare a meno di seguire il suo sfortunato compagno. L’elfa per un attimo si ammorbidisce, avvisa il guardiano che a momenti gli elfi saranno informati che Alagos è tornato e lo consiglia sul da farsi: sgattaiolare velocemente. Infine, con un sorriso: «Attendetemi all’alba all’imboccatura del sentiero per uscire dalla valle».