Ieri sera io e Daniele abbiamo cercato di definire un epilogo per la storia che il nostro gioco mira a raccontare.
Non è facile, anzi... Si sta rivelando molto più difficile del previsto!
Daniele ne era consapevole.
Prima di iniziare a lavorare mi disse che prima o poi il gioco avrebbe preso vita, impadronendosi di se stesso e della storia che racconta, e che noi non saremmo più stati in grado di dargli una direzione. Magari nella nostra testa c'erano delle idee, delle aspettative, delle volontà. Saremmo dovuti essere pronti a rinunciarvi, per lasciarci trasportare dove il gioco vuole. La mia domanda allora è stata:
"Questo non è indice di cattivo design?"
La risposta, secondo Daniele, è no.
Non riuscire a fare esattamente un gioco come lo avevamo in testa non è indice di cattivo design, ma di design funzionale. Lo scopo è creare una certa esperienza di gioco, ma forzarla a rispettare tutte le nostre aspettative iniziali può essere dannoso.
"Piuttosto" , ha aggiunto, "Scriveremo un altro gioco per ricercare quelle aspettative."
Capivo ciò che Daniele mi diceva, tuttavia tutto questo mi sembrava remoto e astratto. Insomma, come può succedere che il gioco si impadronisca di se stesso?
Ieri sera ho avuto la mia risposta.
L'epilogo sembra difficile da integrare con gli elementi che abbiamo in gioco. Abbiamo una mappa con disegni e linee. Abbiamo le carte francesi, i cui semi corrispondono a diversi significati. Abbiamo dei tratti che mostrano il carattere dei protagonisti.
Come integrare tutto questo in un finale coerente, non troppo complesso, e soprattutto lasciando spazio alle scelte dei giocatori? (secondo il principio del fruitful void, che Daniele mi ha spiegato molto bene).
Io non ho ancora una risposta.
Daniele mi ha fatto notare che, per via del mio stile o forse del mio entusiasmo (da principiante, aggiungo io), il gioco è ridondante di elementi e meccaniche, e mi ha confessato che questo era anche il suo stile, prima di maturare come designer e comprendere non solo il concetto di design sottrattivo, ma anche quello di "non forzatura" del gioco.
Concludo il post con un paragone molto calzante di Daniele:
Un gioco è come un ruscello.
Nella tua testa non c'è solo la sorgente (l'idea), ma anche i vari luoghi in cui vuoi che esso scorra (i temi, le meccaniche, ecc).
Ad un certo punto ti accorgerai che il ruscello, per seguire la topografia nel modo meno faticoso possibile e arrivare al mare, non sempre tocca tutti i luoghi che avevi prestabilito; e allora finisci per aggiungere delle deviazioni per farlo passare dove vuoi tu. Ma per ogni deviazione che aggiungi, ti accorgi che si discosta da un'altra tappa. Così cerchi di deviarlo di nuovo, e ancora, finché fai così tanta fatica a rincorrerlo che sarebbe più semplice lasciarlo tracimare dagli argini, per vedere dove è in grado di fluire senza le tue costrizioni.